Pandemie e lavoro sessuale

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Noi lavoratrici sessuali siamo preparate ad affrontare condizioni e conseguenze che implicano scenari come quelli di una pandemia. Abbiamo imparato a prenderci cura l’una dell’altra e a difenderci tra di noi, e ora, che siamo difronte alla crisi mondiale per il COVID19, stiamo riversando questa esperienza pregressa nell’analisi delle particolarità di questo fenomeno, in modo tale da costruire strumenti specifici di prevenzione per continuare a fare quello che abbiamo fatto per decenni: sopravvivere a una pandemia, a un’altra ancora, dato che è stata quella dello stigma e la discriminazione quella che ci ha allenato da sempre a sopravvivere, ora, a questa.

Come una pandemia – dato che fu così per tutto il mondo – alla fine del secolo scorso noi che abbiamo osato pensare e proporre una prestazione sessuale come lavoro, abbiamo dovuto affrontare il rifiuto e la discriminazione che impone la morale, su tutto quello che ha a che vedere con la sessualità.

Il fatto di offrire servizi non viene messo in discussione, però se si tratta di usare la genitalità come strumento attraverso cui offrirli emergono discorsi patriarcali che sacralizzano le donne e allo stesso tempo ci proibiscono il piacere e l’autonomia. Sono gli stessi discorsi che sostengono che i nostri ruoli sociali e sessuali rispondono unicamente alla riproduzione e alla maternità.

Ma non sono gli unici. C’è chi dice che non dovremmo lasciarci sfruttare dal sistema oppressore che mercifica i corpi, e sebbene sia una premessa con la quale molte di noi sono d’accordo, consideriamo necessario problematizzarla, dato che è la stessa avanzata dai settori anarcosindacalisti alla fine del XIX, i quali, sostenevano che organizzare dei sindacati significava legittimare lo sfruttamento capitalista. Se questa posizione avesse prosperato probabilmente questo sarebbe un mondo senza sindacati. Ed è per questo che sosteniamo che la mancanza di riconoscimento per noi donne lavoratrici sessuali, non solo ci espone allo sfruttamento, ma lo fa con l’aggravante di non poter contare su degli strumenti che effettivamente frenino gli abusi, impedendoci di accedere ai diritti che generalmente hanno le altre persone lavoratrici.

Siamo d’accordo che si dovrebbe lottare per cambiare le relazioni di potere, ma nel mentre abbiamo bisogno – ed è un nostro diritto – di accedere a politiche pubbliche che ci permettano di avere una qualità di vita migliore.

La pandemia violenta ed escludente che stiamo affrontiamo ancora prima del COVID19 e l’HIV purtroppo non si risolve in un laboratorio chimico, con la farmaceutica, con l’isolamento o gli anticorpi, bensì si risolve a livello culturale e sociale, con menti aperte alla comprensione, al dialogo, al confronto e con il rispetto della diversità.

Abbiamo bisogno che quella visione del mondo anticolonialista e antipatriarcale ci interroghi, e ci permetta di chiederci: devono continuare ad esistere linee guida accademiche e burocratiche che ci dicano quello che è giusto e quello che è sbagliato? Noi crediamo di no. Abbiamo bisogno di una visione del mondo femminista che decostruisca pratiche che oggi, a noi, condannano al virus della marginalità, il quale è composto da settori mafiosi che godono della complicità di alcuni politici, funzionari giudiziari e responsabili della sicurezza.

Quel mondo femminista deve smettere di mettere in discussione le persone che come noi sono riuscite a separare il sesso dall’amore, dato che una delle principali domande che ci fanno è come possiamo sostenere dei rapporti sessuali con persone sconosciute. Il fatto è che quando lavoriamo non ci stiamo innamorando. Questo è un mandato obsoleto, ma vigente che continua a condizionare le donne e la loro sessualità ancora oggi.

Noi siamo state e continueremo ad essere le prime a condannare la tratta di persone. Per questo, vi chiediamo di non continuare a dare strumenti a quei settori mafiosi che si approfittano della nostra necessità di lavorare e che in virtù di questo ci “offrono protezione”, situazione che mescola e confonde il nostro lavoro autonomo con la tratta di persone, provocando conseguenze nefaste.

A partire dal 2010 sono state create e modificate leggi che erroneamente continuano a riconfermare questo miscuglio e confusione. E che hanno portato alla conseguenza che molte delle persone che intendevano lasciare i bordelli e/o smettere di pagare delle tangenti in cambio di poter lavorare, sono state oggetto di operazioni di polizia violente e cinematografiche, che hanno ottenuto unicamente la criminalizzazione delle lavoratrici organizzate in cooperative, o di coloro che affittavano congiuntamente appartamenti dividendo le spese per lavorare. La risposta è alla portata di tutte le persone che vogliono vedere la realtà: spesso, chi organizza e spinge queste operazioni sono gli stessi che perderebbero consistenti guadagni se noi lavoratrici sessuali ci organizzassimo e lavorassimo in forma autonoma, dato che smetterebbero di ricevere le loro tangenti illegali.

Noi che ci autodeterminiamo come lavoratrici sessuali siamo una minoranza, tuttavia questo non dovrebbe mai essere un motivo per negarci dei diritti. Siamo consapevoli della difficoltà che comporta lottare contro una pandemia che ha radici culturali millenarie. Quando facciamo un passo avanti incontriamo persone contraddittorie che ci fanno fare due passi indietro, e che nonostante ci puniscono con una violenza inconsueta, non considereremmo mai come nemiche. Ci dispiace che molte volte ricorrano ad argomentazioni fasulle e offese personali, occasioni in cui dimostrano la funzionalità al modello verticale, classista e patriarcale, il quale concede solo a loro, gli/le illuminat*, il potere di determinare quello che è giusto e quello che è sbagliato.

Per questo, ricorrendo alla nostra esperienza decennale, il nostro movimento sta lavorando alla creazione di strumenti di prevenzione dal COVID19, così come lo abbiamo fatto a suo tempo con l’HIV e le IST, nel frattempo e parallelamente, continuiamo a lavorare e speriamo che la società comprenda che la pandemia più violenta che dobbiamo sradicare dalle nostre società è quella dello stigma e della discriminazione.

– Traduzione: Giulia Zollino

#TrabajoSexualEsTrabajo
#TrabalhoSexualÉTrabalho
#SexWorkIsWork

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